Affranchiamoci dalla “guerra”

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"QUANDO GLI ELEFANTI COMBATTONO É SEMPRE L'ERBA A RIMANERE SCHIACCIATA"
(Proverbio Africano)

Basterebbe a volte fermarsi un attimo a riflettere sulla condizione della società contemporanea per constatare che l’Uomo, a dispetto del suo percorso evolutivo, si trova a perseverare disperatamente in uno stato di lotta.

Non parlo soltanto della lotta armata, di scontri tra individui o gruppi di individui più o meno organizzati; stando alle barbarie cui assistiamo quotidianamente, è evidente che ben poco sia cambiato dai tempi di Alessandro Magno o di Hernan Cortés, nel mondo in cui un popolo si impone a discapito di un altro.

E non mi riferisco nemmeno alle nuove frontiere della guerra, a quelle cosiddette intelligenti, combattute sugli scacchieri geopolitici, spostando flussi finanziari o intraprese a colpi di virus (biologici o informatici).

Ciò che invece risulta assolutamente preoccupante, riguarda piuttosto uno stato mentale che sembra predisporre l’Uomo all’aggressione, sia essa fisica o messa in atto sul piano verbale. Osservando i comportamenti umani in differenti contesti sociali, ho potuto notare come le persone si trovino in uno stato di costante tensione, pronto a sfociare in attacco non appena i nostri confini, le nostre convinzione, vengono minacciate. Insomma, a livello mentale, siamo sempre sul piede di guerra, anche laddove l’istinto di sopravvivenza non giustificherebbe questo livello d’allerta. Pur essendo animali sofisticati, continuiamo a comportarci come dei barbari, guidati da un Ego istruito ad intimidire, soggiogare ed infine conquistare.

Mi sono allora chiesto quale fosse il veicolo più efficace per canalizzare questa attitudine conflittuale: la mia ipotesi è che il linguaggio sia la principale causa di questa particolare disposizione.

Più subdolo delle immagini, che quanto meno sono esplicite, il linguaggio, per dirla con William Burroughs, opera come un virus che si insinua nelle strutture mentali, veicolando i nostri comportamenti in funzione delle parole che utilizziamo e di cui, spesso colpevolmente, ignoriamo la portata.

Quasi inconsciamente, il nostro modo di comunicare ha integrato termini ed espressioni che richiamano al combattimento, alla contesa, allo scontro, anche se poi il senso che intendiamo dare alle parole rimane figurato: la salvaguardia di un diritto viene intrapresa come una lotta per la conquista di quel diritto, un dibattito elettorale viene visto come un duello senza esclusioni di colpi, un campo di calcio diventa un campo di battaglia quando il livello di agonismo si fa più intenso, l’impegno per eradicare la Mafia si trasforma in una guerra alla Mafia…

Alla fine, paradossalmente, molti di coloro che si prodigano per estirpare i mali della società, fondano il proprio movimento sugli stessi principi che stanno alla base del male stesso: figli dell’indignazione, ciascuno di noi si erge a paladino della Giustizia, della Verità, dell’Uguaglianza, pronto ad impugnare l’ascia di battaglia per il bene della razza umana.

Sono pochi quelli capaci di adottare un approccio differente per lanciare il proprio messaggio di affrancamento dalla guerra:

C’é chi lo ha fatto con la musica

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…chi attraverso l’esempio

A tutti coloro che, nel loro piccolo, volessero offrire un contributo per rendere il mondo un posto migliore, per aiutare la razza umana ad elevarsi ad un livello di coscienza superiore, eccovi la mia proposta: eliminiamo dai nostri registri comunicativi parole ed espressioni che rimandano a concetti e situazioni conflittuali, che sottendono l’uso della forza o della violenza per risolvere una controversia, e rimpiazzamoli con termini come “sforzo”, “impegno”, “determinazione”, quando ci riferiamo a circostanze e situazioni che possono essere affrontate in maniera ferma ma incruenta.

Boicottiamo il concetto di “guerra”, alleniamo le nostri menti a manifestare sentimenti non belligeranti! Un semplice cambio di prospettiva, intrapreso da ciascuno di noi, può generare sorprendenti effetti virtuosi su un’intera società.